BUSSI SUL TIRINO – “Contaminazione straordinariamente grave e complessa”, riferita a “quasi due milioni di tonnellate di terreno”. E’ il sunto delle 250 pagine di motivazioni della sentenza della Corte d’Assise D’Appello a L’Aquila, pubblicate oggi, sulla base delle quali il Presidente Luigi Catelli, il giudice relatore Armanda Servino e i sei giudici popolari hanno condannato gli uomini-Montedison quali responsabili, sia pure a titolo colposo, del disastro ambientale e dell’avvelenamento delle acque.
Quanto emerso dall’impianto accusatorio dei PM pescaresi Bellelli e Mantini, è attestato anche dalle conclusioni della Corte. Non soltanto. Il disastro era “prevedibile” sin dal 1971 ed in qualche modo “annunciato”. I giudici hanno inoltre sottolineato l’impatto sulla salute connesso alla intensità della contaminazione, “protrattasi per decenni”. Si tratta di un disastro se non doloso (manca la prova della contaminazione quale strategia d’impresa), certamente colposo ma non prescritto, perché è ancora un fenomeno “attivo e diffusivo”
Pur essendo non provato il dolo (“non si è raggiunta la prova che gli imputati volessero avvelenare le acque delle falde”), il reato di avvelenamento è riscontrato nella forma colposa “per le modalità di smaltimento adottate, contrarie alle norme di legge già al tempo vigenti e e -in ogni caso- ai generali obblighi di attenzione, precauzione, diligenza”. Una colpa che comunque è parzialmente prescritta, ha dovuto rilevare la Corte, già alla data della sentenza di primo grado.
“Queste motivazioni non fanno che certificare uno stato delle cose noto a tutti – commenta Luciano Di Tizio del WWF – e ribadisce intanto il principio di chi inquina deve pagare e poi, se ce ne fosse ancora bisogno, ripropone l’urgenza di una completa bonifica di tutta l’area. Le Istituzioni non hanno più scuse dietro le quali nascondersi, si proceda senza indugi ad una complessiva opera di bonifica delle aree inquinate, ma soprattutto che questo sia da lezione anche per scelte future, sappiamo che vorrebbero realizzare una cava tra Bussi e Popoli proprio in mezzo ad una delle falde acquifere più importanti in Abruzzo, ecco, sembra che la discarica dei veleni non abbia insegnato nulla da questo punto di vista”.