PESCARA – E pensare che la sua convocazione per il Mondiale era in bilico sol fino a un mesetto fa. L’infortunio di Montolivo “garantì” il via libera e da allora per Marco è stato tutto un crescendo. Da titolare nell’esordio contro l’Inghilterra a protagonista nella disfatta contro l’Uruguay. L’hanno dovuto portare via in barella per toglierlo da lì. Prima dentro ci aveva messo tutto, Verratti. L’intruso di questo mondiale finito troppo presto per il ragazzo (23 anni) che diventerà grande. ”Ce l’abbiamo messa tutta. Per me e per la squadra il Mondiale è una cosa che capita una volta nella vita, impossibile allora non dare il cento per cento”.
Non tutti, anzi non molti, anzi solo davvero due, e lui è uno dei due. L’altro è il suo maestro. Il regista del Paris-Saint Germain raccoglie l’eredità del migliore nel suo stesso ruolo, e non solo stasera, e non solo in azzurro. Andrea Pirlo forse ha giocato la sua ultima partita in nazionale, e non c’è stata lezione migliore, nella sventura, nell’incapacità collettiva, che il passaggio di consegne tra i due. I migliori del gruppo che ha giocato contratto, affaticato, imbrigliato nella paura. Forse, nella tentazione folle di praticare una strategia conservativa contro un Uruguay brutto altrettanto, ma più laico e muscolare. Ancora Marco, che non si rassegna e se la prende con l’arbitro che ha espulso Marchisio: “L’Uruguay è forte ma non ci sta giocare in dieci dopo 50 minuti, mentre il “moccico” di Suarez non viene punito. Claudio era entrato per proteggere la palla, ero vicino ed ho visto: il rosso è stato esagerato. Forse perdevamo lo stesso ma è una cosa che ha pesato tanto”. Si, parla di moccico Marcolino, alla “abruzzese maniera”.
Ha pesato che in campo erano solo in due. Pirlo il solito colosso, il barometro pur nel disordine generale, e l’unico davvero a rispondere alle sue intuizioni, informazioni, è stato Marco. Incredibile, quando fino a un paio di anni fa sarebbe sembrato un sacrilegio pensarli insieme, a braccetto, in una articolata convivenza. L’assortimento aveva funzionato con l’Inghilterra, era stato invece annullato col Costarica. Con l’Uruguay riproposto perché solo lì Prandelli poteva ormai aggrapparsi. E in qualche maniera, seppur inutile, così è stato.
Il discepolo di Zeman (come Insigne e Immobile, quest’ultimo inserito per compiere miracoli ma così non è andata), è sbocciato e formato a Pescara dove era in prima squadra a sedici anni, anche se rimediava più infortuni che occasioni e il ruolo di trequartista non gli faceva esprimere tutto. Fu il tecnico boemo che lo mise in regia, per dare il la a Immobile. Oggi non ha funzionato con Ciro, qualcosa di rotto nelle traiettorie, non come al solito che neanche si guardano ma si sentono e vanno. Eppure Marco fino alla fine, al calcione rimediato al 72′ e conseguente uscita disteso, ci ha provato. Un grande.