ROMA – Virginia Raggi sfida la superstizione con una maglietta viola nella sua visita a Palermo. Poi ascolta il popolo grillino che scandisce il suo nome: «Virginia, Virginia, Virginia» e si tranquillizza. Certo, l’empatia è un’altra cosa, ma ci prova a trascinare la folla assicurando: «Io non mollo». Eppure dietro a quel palco qualcuno ci spera che lei molli, l’aggettivo cordiale non descrive i rapporti tra la sindaca romana e le sue colleghe cinque stelle, Carla Ruocco, Paola Taverna e Roberta Lombardi. Un’accoglienza se non fredda almeno umida come il tempo in questa Palermo che accoglie il popolo grillino.
Per la sindaca non è stata certo una giornata facile: iniziata alle 10,40 di mattina con un faccia a faccia con Beppe Grillo, presente anche Davide Casaleggio. Rocco Casalino, il potentissimo Richelieu (prestato dal Grande Fratello) della comunicazione grillina, assicura che è «stato veramente un bel momento». Non per Virginia che ha dovuto spiegare quello che va facendo e, soprattutto, non facendo a Roma, a iniziare dall’assessore prossimo venturo al bilancio, il contestato Salvatore Tutino, magistrato della Corte dei Conti, in odore di «casta», almeno secondo big stellati come Di Battista e Ruocco.
Grillo ha parlato chiaro, le ha detto che ha avuto tutto l’appoggio possibile, ma che adesso deve prendersi le responsabilità delle sue scelte, a iniziare dalla conferma della fiducia alla Muraro. «Se pensi che sia giusto, fai quello che credi, sei tu il sindaco…». Le conseguenze sono note e passano dal togliere il simbolo dalla bandiera del Campidoglio. Il nodo cruciale sono le nomine. «Basta impresentabili – ha detto Grillo – E cerca di farti conoscere. Noi non siamo come gli altri, comunichiamo, condividiamo». E per questo Raggi da domani inizierà a lavorare a una specie di taccuino sul sito del Comune dove appuntare i «lavori in corso».
Così, dopo la lezioncina di Grillo e Casaleggio, la prima cittadina della capitale conferma che sulle nomine romane lei si confronta «con consiglieri e assessori». Poi di corsa al Foro Italico, ad affrontare la platea della festa a cinque stelle. Il repertorio è quello che accende facile l’entusiasmo, a cominciare da Renzi: «Ci attaccano per ogni cosa, anche per le mie orecchie, che sono grandi. Che ci posso fare? E la cosa vergognosa è che è proprio il premier ad attaccarci, lui che non ha rottamato nessuno, che siede al tavolo di Berlusconi e di Verdini, Malagò, Montezemolo, i suoi amici». Poi le olimpiadi: «Se hanno avuto paura e tremato per il no alle olimpiadi, dopo la vittoria del no al referendum vedranno la loro fine». E Roma dal cui disastro Virginia si dissocia: «È una città devastata, non c’è nulla che funzioni, abbiamo tutto da ricostruire, ed è quello che stiamo facendo. Ieri è crollata una palazzina e abbiamo avuto difficoltà a trovare alloggio alle 23 persone rimaste senza casa. Perché fino ad oggi tutto funzionava con il sistema Buzzi-Carminati e noi adesso dobbiamo lavorare sull’ordinario. Dobbiamo portare una rivoluzione normale».
«Ci dipingono come una squadra divisa, invece non siamo mai stati così uniti», dice alla folla. I colpevoli? I giornalisti, of course, che dagli attivisti ricevono una buona dose di insulti e spintoni. Anche se nel backstage tutto questo «peace and love» non si avverte. Rimane una grande distanza tra Virginia Raggi e una parte del movimento. Soprattutto è aperta la «questione femminile», Virginia contro Roberta Lombardi, Carla Ruocco, Paola Taverna che le imputano di essersi allontanata dall’ortodossia grillina. Perché, dicono, delle nomine ne puoi toppare una, ma non è possibile fare strike, riesumando nomi dell’odiato passato. E chi vuole svilire questa controversia a una rissa «Eva contro Eva», sbaglia . Perché in questa frattura «rosa» si annida il tallone di Achille del movimento.