
BERGAMO – Massimo Bossetti, imputato unico di un processo per omicidio in cui rischia l’ergastolo, fa il suo ingresso nella gabbia acquario della corte d’assise di Bergamo alle 9,30 in punto, lanciando uno sguardo di sbieco al pubblico, prevalentemente di giornalisti, che affolla l’aula, e ai giudici popolari della corte, che aprono l’udienza con il giuramento di rito.
Inizia il processo più atteso dell’anno e, per una volta, telecamere, iPad e telefonini sono esclusi dall’udienza nel tentativo di contenere quello che le parti civili, rappresentanti dei familiari di Yara Gambirasio, la bambina di 13 anni uccisa nel campo di Chignolo d’Isola il 26 novembre 2010, definiscono «un circo mediatico fin troppo invadente».
«Non voglio che le telecamere trasformino questo processo in un palcoscenico» dice il pm Letizia Ruggeri. E gli avvocati della difese, che alla vigilia avevano auspicato a gran voce una presenza massiccia di televisioni, non rimane che fare marcia indietro, rimettendosi «alla volontà dei genitori e dei famigliari di Yara per rispetto al loro dolore». Dunque, sarà udienza pubblica ma non mediatica, sempre che il presidente Antonella Bertoja non decida diversamente alla prossima udienza, prevista per il 17 luglio.
Agli avvocati di Massimo Bossetti, che preannunciano un «processo complesso e soprattutto indiziario», non rimane quindi che impostare la più classica delle difese partendo dalle eccezioni preliminari: ben cinque, ma nessuna di queste inedita e tutte basate sul tentativo di escludere dal fascicolo del dibattimento una serie di atti e di indagini scientifiche, a partire dal l’esame del Dna – ormai “irripetibile” e di cui contestano la procedura – lamentando l’assenza di una comunicazione dell’atto all’imputato. Ma dimenticando che quando l’esame sul filamento di Dna ritrovato sui leggins di Yara venne svolto, rivelando il profilo genetico di quello che all’epoca venne indicato come “Ignoto Uno”, di Bossetti non si sospettava nemmeno l’esistenza.
I legali puntano poi a un rimpianto dell’intero processo invocando la nullità del decreto di rinvio a giudizio per “indeterminatezza del luogo in cui venne commesso il reato»: ovvero, sostengono, indicando sia Brembate sopra, dove Yara secondo l’accusa scomparve salendo sul camion furgonato di Bossetti, e Chignolo d’Isola, il luogo cioè dove venne uccisa e ritrovata, il giudice dell’udienza preliminare è stato vago. Infine invocano una nullità generale per assenza di proroga d’indagine nel periodo in cui dall’inchiesta contro “ignoti” si passò al l’iscrizione sul registro degli indagati di Bossetti. Stoppati dal pm che li invita a cercare bene nel fascicolo numero 60, dove le proroghe sono elencate minuziosamente.
Da notare che si tratta di eccezioni già ripresentate ai vari giudici di merito e finora tutte respinte, perfino in Cassazione. Bossetti sembra non notare differenze, ascolta compunto le prime schermaglie tra accusa e difesa, evita accuratamente di voltarsi verso i giornalisti. Alla fine, quando il presidente dichiara che le decisioni della camera di consiglio verranno rese note solo alla prossima udienza, si alza e attende la visita dei suoi legali. Sono grandi sorrisi, pacche sulle spalle. «Mi sento più tranquillo – riferiscono poi gli avvocati – ho molta fiducia nella giustizia». La battaglia è appena cominciata. Tra due settimane si inizieranno a elencare prove e testimoni (un’ottantina quelli indicati dalle difese) e solo a settembre, probabilmente, si entrerà nel vivo.